La Cannabis Light non può essere sequestrata a scopo preventivo se non sussistono prove che il livello di THC contenuto superi il limite di legge dello 0,5%. E’ quanto ha stabilito la settimana scorsa la commissione dei giudici del tribunale del Riesame di Genova a seguito della recente sentenza della Cassazione dello scorso 30 Maggio.
La vicenda era partita da un negoziante di Rapallo, che lo scorso 3 Giugno si era visto sequestrare senza ragione una parte importante del suo magazzino: fra la merce sequestrata diverse infiorescenze, flaconcini di olio e confezioni di tisana alla canapa. Tutti prodotti assolutamente legali e con percentuali di THC nel pieno rispetto delle direttive italiane ed europee: da lì il caso giudiziario approdato alla commissione del Riesame, che ha dato ragione all’imprenditore disponendo la completa restituzione della merce ingiustamente sequestrata.
Si tratta di una sentenza importante ed è la prima pronuncia dei giudici dopo il caso sollevato dalla Cassazione, che aveva vietato la vendita di prodotti derivati dalla cannabis light, salvo l’attestazione della mancanza di qualsiasi “efficacia drogante”. E proprio quest’ultimo punto aveva destato non poche perplessità, perché il principio attivo della cannabis light sul mercato italiano è già inferiore ai limiti europei, stabiliti nello 0,5% di THC massimo.
Secondo il tribunale del Riesame, allo stato attuale manca una norma che stabilisca precisamente la percentuale oltre la quale un prodotto diventa “drogante”: l’unica direttiva in materia, che attesta appunto il limite dello 0,5%, è una circolare interpretativa del ministro dell’Interno del 2018 che riprende la legge 242 del 2016. Per questa ragione, il Pubblico Ministero coinvolto in un’indagine sulla vendita di cannabis light non può sequestrare tutta la merce ma limitarsi ad eseguire le analisi su singoli campioni, rimandando lo stop del negozio solo in caso di conclamata illegalità della merce.
Un segnale importante per tutto il comparto della canapa in Italia, ingiustamente colpito da una nuova ondata di proibizionismo che rischia di danneggiare un settore da più di 150 milioni di euro l’anno e con circa 10.000 persone impegnate in tutta la filiera.